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Dal Garda alla Valpolicella, il paesaggio veronese nei maestri dell’Ottocento e Novecento

Oggi ho letto un articolo di Finestre sull’Arte dedicato ai pittori veronesi tra Ottocento e Novecento e al loro modo di raccontare il paesaggio della nostra terra: Verona, il Garda, la Valpolicella.


Sfogliando queste pagine, mi sono sentita come dentro a una galleria di sguardi. Ciascun artista ha lasciato una traccia diversa: la luce pura e vibrante di Dall’Oca Bianca, l’autenticità rurale di Avanzi, la delicatezza degli acquerelli di Marotto, le sperimentazioni moderne di Trentini e l’audacia futurista di Righetti “Di Bosso”. Ognuno di loro ha colto un frammento della stessa terra, trasformandolo in linguaggio universale.


E qui nasce la mia riflessione: l’arte è la più alta e nobile interpretazione della creatività umana. Non si limita a rappresentare la realtà, ma la sublima, la eleva, la rende eterna. Dove la natura offre materia, luce, paesaggio, l’artista dona visione, emozione, senso.


In fondo, anche il mio lavoro di vignaiola ha qualcosa di simile: partire da ciò che la terra regala e trasformarlo in un’esperienza che non si riduce al semplice vino, ma diventa memoria, racconto, emozione condivisa.


Guardando i paesaggi dipinti da questi artisti, sento che ogni pennellata è un invito a vedere la Valpolicella non solo con gli occhi, ma con l’anima.

È lì che arte e vita si incontrano: nel punto in cui la creatività umana riesce a trasformare ciò che è fragile e passeggero in qualcosa di duraturo e universale ed eterno destinato ai posteri.



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Guido Trentini, Colline veronesi (Valpolicella) (1915 circa; olio su cartone, 41 x 47 cm). Su concessione di Faraci Arte


Nella copertina: Augusto Manzini, San Giorgio di Valpolicella (1949; olio su tavola; Collezione privata)

 
 
 

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